“Da qualche giorno è installato nell’Ospedale Mazzini di Teramo un densitometro (DEXA) per la ricerca e la cura dell’Osteoporosi.
Lo ha annunciato il Direttore Generale della ASL di Teramo, Roberto Fagnano, nel corso di una conferenza stampa – che si è tenuta stamani a Palazzo Melatino – organizzata per presentare un Progetto di Medicina di Genere proposto dalla ASL di Teramo insieme con l’Università dell’Aquila e finanziato dalla Fondazione Tercas.
La conferenza stampa si è aperta con un intervento del Presidente dalla Fondazione Tercas, Enrica Salvatore, che ha ringraziato il Direttore Generale della ASL e tutto il suo Staff della Direzione Strategica per il decisivo e concreto impegno profuso per dare piena attuazione al Progetto di Medicina di Genere. Un Progetto – ha affermato – che insieme a diversi altri Progetti vede la preziosa collaborazione della Fondazione con la ASL di Teramo.
In particolare grazie a questo Progetto anche l’Ospedale di Teramo – dopo quelli di Atri Giulinaova e Sant’Omero – sarà dotato di un densitometro di nuova generazione. Complimenti quindi al Direttore Fagnano che con determinazione ha ripreso e portato a definizione un progetto che era stato finanziato anni fa e un poco dimenticato dai suoi predecessori. Ma soprattutto significativamente importante è il fatto che a Teramo si inizia non solo a parlare di Medicina di Genere, questo approccio diverso e innovativo, se vogliamo rivoluzionario, alle diseguaglianze di salute, ma a praticare un approccio di genere nei confronti della diagnosi, cura e ricerca su una patologia così ampiamente diffusa come l’Osteoporosi.
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Ha preso quindi la parola il Direttore Fagnano affermando che” l’apparecchiatura – appena installata nel reparto di Allergologia ed Immunologia Clinica, sede anche della relativa Scuola di Specializzazione Universitaria nonchè Centro Regionale per l’Osteoporosi diretti dalla professoressa Lia Ginaldi – sarà attivata in questi giorni non appena conclusi i lavori di collaudo.
Secondo quanto previsto nel Progetto servirà sia per la ricerca che per la cura dell’Osteoporosi secondo una visione di Medicina Personalizzata, “Gender Oriented, questa nuova frontiera della medicina del futuro che sono felice trovi nella Asl di Teramo, grazie in particolare al finanziamento della Fondazione Tercas, un esempio di concreta applicazione. Dunque lo sviluppo della Medicina di Genere per garantire equità e appropriatezza delle cure.
Il Presidente, quindi, ha dato la parola alla professoressa Lia Ginaldi che – prima di illustrare gli aspetti principali del Progetto di Medicina di Genere incentrato sull’Osteoporosi – ha iniziato il suo intervento affermando che “lungi dall’essere una ennesima rivendicazione femminile, la Medicina di Genere non è solo Medicina delle donne, ma degli uomini e delle donne con tutte le loro specificità, non solo da un punto di vista anatomico e biologico, ma anche psicologico e socio-culturale. Solo riconoscendo queste differenze si può garantire l’uguaglianza e l’appropriatezza diagnostica e terapeutica basata sulle evidenze.
La Medicina di Genere, meglio ancora Genere-specifica – come ha ben detto il Direttore il Fagnano – è quindi essenzialmente lo studio di come differiscono le malattie tra uomo e donna in termini di prevenzione, sintomatologia, approccio terapeutico, prognosi. E’ questo il senso della Medicina di Genere nell’ottica di una medicina moderna personalizzata, che pone al centro il paziente e non la semplice malattia, garantendo strategie terapeutiche mirate ed efficaci. Non è una nuova specialità ma una necessaria e doverosa dimensione interdisciplinare della medicina.
Purtroppo, la classe medica deve ancora guarire dalla sindrome del bikini, che considera le donne solo per patologie che colpiscono l’apparato riproduttivo. La medicina fino a pochi anni fa ha considerato e studiato i pazienti indipendentemente dal genere.
La professoressa Ginaldi ha continuato quindi il suo intervento ricordando la data di nascita della Medicina di Genere avvenuta quando nel 1991 la cardiologa statunitense Bernardine Healy, allora direttrice dell’NIH, in un editoriale sul New England Journal of Medicine, denunciò il comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti della donna condizionandone profondamente la prognosi, e parlò di Yentl Syndrome, ispirandosi alla protagonista di una storia del premio Nobel Singer che per studiare il Talmud, libro sacro dell’ebraismo, dovette fingersi uomo. Aveva infatti constatato, nell’Istituto di Cardiologia che dirigeva, che le donne erano meno ospedalizzate, meno sottoposte a indagini diagnostiche (coronarografie) e interventi terapeutici (trombolisi, angioplastica, bypass) rispetto agli uomini. L’articolo suscitò molto scalpore in tutto il mondo medico e diede una grande spinta alla consapevolezza delle diversità fra uomo e donna fino a portare nel 2002 alla istituzione presso la Columbia University di New York del primo corso di Medicina di Genere.
Ancora oggi – ha continuato la professoressa Ginaldi – le donne non sono ancora adeguatamente rappresentate nei trials clinici per la sperimentazione di nuovi farmaci, composti principalmente da campioni di popolazione maschile. D’altra parte le donne sono scomode per i ricercatori data la maggiore complessità e variabilità dell’organismo femminile. Basti pensare alla ciclicità ormonale, alla gravidanza, alla menopausa. La conseguenza è stata una ridotta personalizzazione delle cure e una loro standardizzazione misurata sul soggetto maschile.
Eppure secondo i dati Istat le donne si ammalano di più, hanno il doppio di disabilità rispetto agli uomini ed usano più farmaci, tra l’altro con un maggior numero di reazioni avverse e più gravi effetti collaterali, e rispondono in modo diverso alle terapie farmacologiche.
La Medicina di Genere non è una nuova branca della medicina ma un approccio culturale che riguarda tutte le specialità del sapere medico. Fare quindi Medicina di Genere, nella ricerca così come nella pratica clinica, non vuol dire studiare o approfondire solo malattie specifiche o prevalenti nell’uno o nell’altro sesso, quanto piuttosto le patologie che affliggono uomini e donne nel quotidiano, declinandole per genere: malattie cardiovascolari, tumori, malattie metaboliche, neurologiche, infettive, immunologiche.
A questo punto la professoressa Ginaldi si è soffermata ad illustrare qualche esempio.
La cardioaspirina, caposaldo della prevenzione dell’infarto nell’uomo, nella donna è scarsamente efficace. D’altra parte il metabolismo è profondamente diverso nei due sessi. Le donne hanno geneticamente una quantità di alcol deidrogenasi circa 4 volte inferiore rispetto agli uomini e quindi tollerano meno bene l’alcol.
La depressione colpisce le donne due volte più degli uomini oltre che per fattori socio-ambientali ed ormonali, anche per una minore concentrazione del neurotrasmettitore serotonina, e gli inibitori del reuptake della serotonina, diversamente dai triciclici, funzionano di più nella donna.
Gli estrogeni, diversamente dal testosterone, che ha un effetto analgesico, influiscono sul sistema nervoso rendendolo più reattivo agli stimoli, anche a quelli dolorosi, condizionando in parte la maggior frequenza nelle donne di patologie dolorose come l’emicrania, la cefalea muscolotensiva e la fibromialgia.
Persino in vitro le cellule femminili e maschili rispondono diversamente agli stress: le cellule femminili innescano preferenzialmente processi di senescenza cellulare quelle maschili più facilmente vanno incontro ad apoptosi o morte programmata.
D’altra parte le donne sono più longeve degli uomini: è dimostrato che le donne nei paesi occidentali vivono mediamente cinque anni più degli uomini. Ma il vantaggio in longevità della donna si traduce in anni di malattia e disabilità, principalmente a causa di malattie cardiovascolari, osteoarticolari e neurodegenerative. La disabilità femminile è circa doppia in confronto a quella maschile e l’Alzheimer colpisce le donne due volte più degli uomini.
Il sistema immunitario è profondamente diverso nei due sessi condizionando una diversa incidenza e presentazione clinica di patologie allergiche e autoimmuni. L’80% delle persone affette da malattie reumatiche, come lupus eritematoso sistemico e artrite reumatoide, sono donne.
Le donne hanno una probabilità doppia di contrarre infezioni sessualmente trasmesse e più frequentemente rispetto agli uomini sviluppano miocarditi e pericarditi dopo episodi influenzali.
Il cancro al polmone, raro in passato tra le donne, ha avuto un incremento del 600% nel sesso femminile: le donne sono più sensibili agli agenti cancerogeni e le cellule femminili meno capaci di riparare i danni al DNA e quindi a parità di fumo di sigaretta, sviluppano più facilmente la malattia; la prognosi è inoltre peggiore nelle donne perché la diagnosi è più tardiva in quanto tende a svilupparsi nei distretti periferici e non nei bronchi principali, ed è anche peggiore la risposta alla chemioterapia, gravata da un maggior numero di effetti collaterali gravi.
Analoga peggiore prognosi per il cancro del colon che si sviluppa nelle donne più spesso nel tratto ascendente dando di conseguenza sintomi solo in fase avanzata.
L’infarto miocardico, ritenuto tradizionalmente patologia maschile, è ora la prima causa di morte nelle donne. Il diabete provoca infarto nella donna 3 volte più che nell’uomo. Le stesse manifestazioni cliniche dell’infarto, inoltre, tendono ad essere diverse, e questo spesso ritarda la diagnosi. Il classico dolore gravativo precordiale con irradiazione al braccio sinistro è meno comune nella donna in cui prevalgono altre manifestazioni, come difficoltà di respiro, astenia, sudorazioni, vertigini, nausea, cefalea e dolore al collo e alla schiena. Le donne rischiano quindi di ricevere meno cure e meno tempestive, non vengono avviate in PS in codice rosso e i sintomi vengono sottovalutati con ritardi diagnostici e terapeutici spesso fatali. Ma non solo. Alcuni esami diagnostici sono meno efficaci: il cicloergometro o test da sforzo, ad esempio, nelle donne ha una sensibilità decisamente inferiore al contrario della scintigrafia miocardica.
In conclusione la professoressa Ginaldi ha illustrato alcuni aspetti del Progetto di Medicina di Genere incentrato sull’Osteoporosi (proposto dalla Asl di Teramo insieme con l’Università dell’Aquila e finanziato dalla Fondazione Tercas) affermando che l’osteoporosi è proprio l’esempio di come il bias di genere possa valere anche al contrario. In questo caso ad essere svantaggiati dalla mancanza di una corretta cultura di genere sono gli uomini. Infatti se certamente l’osteoporosi è stata sotto-stimata e sotto-trattata nelle pazienti di sesso femminile, la situazione è ancora peggiore nel sesso maschile. Considerata una patologia femminile, è ancora scarsamente studiata nell’uomo. Eppure l’osteoporosi maschile esiste ed ha caratteristiche del tutto peculiari rispetto alla donna (diversa età di insorgenza, eziopatognesi e sintomi diversi, diversa risposta alla terapia).
A questo proposito, proprio nell’ottica di una medicina genere specifica intendiamo pianificare interventi diagnostici personalizzati e programmi di screening e di prevenzione mirati che tengano conto non solo della popolazione femminile nelle diverse fasce d’età e categorie a rischio, ma anche degli uomini, fino ad ora trascurati da questo punto di vista. Saranno studiati fattori di rischio e marcatori di progressione genere specifici e valutate le risposte cliniche a protocolli terapeutici differenziati. Ed in questo progetto è ovviamente centrale l’utilizzo della DEXA di ultima generazione, che ci consente una valutazione mirata, sensibile e specifica della densità minerale ossea nelle diverse sedi scheletriche più colpite da osteoporosi e lo studio combinato delle differenze nella composizione corporea, con promettenti risvolti scientifici ed indubbie ricadute positive sul territorio in termini di miglioramento dell’offerta sanitaria.
All’incontro era presente anche il Vice Presidente della Fondazione Tercas, Marino Iommarini. Nel suo intervento ha ricordato che negli ultimi anni diverse istituzioni internazionali – quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Comunità Europea – hanno sottolineato come la Medicina di Genere rappresenti un obiettivo strategico per la sanità pubblica ed hanno formalmente richiesto che l’attenzione alle differenze di genere diventi pratica standard nelle politiche sanitarie.
In Italia – ha affermato Iommarini – ci sono diverse società dedite alla Medicina di Genere che hanno già creato una rete. L’Istituto Superiore di Sanità ha un dipartimento di Medicina di Genere e fa molta attività di ricerca. Molte Regioni hanno inserito nel loro piano Socio Sanitario Regionale la Medicina di Genere ed auspico che presto accada anche in Abruzzo. Infine il Parlamento Italiano ha votato all’unanimità una mozione sulla medicina di genere e sono state depositate due proposte di legge.
Non è facile l’approccio di genere alla salute. Tanti, troppi, sono i pregiudizi, gli stereotipi, le diseguaglianze nella medicina, nella ricerca, nella sperimentazione dei farmaci, e nello studio dei fattori di rischio e delle cause di una malattia. Solo attraverso l’attuazione della medicina di genere si aprirà la strada all’appropriatezza e alla tutela della salute per entrambi i generi.
Il primo ostacolo alla diffusione della medicina di genere è la non conoscenza, ecco perché vorrei esortare a partecipare ad un Master sulla Medicina di Genere attivato proprio dall’Università dell’Aquila e che scadrà il 16 ottobre prossimo – ha concluso Iommarini – perché esso rappresenta una occasione straordinaria per conoscere ed approfondire i temi che la Medicina di Genere sta ponendo ai rappresentanti della comunità scientifica ed ai decisori politici non solo regionali e nazionali ma anche internazionali.